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C’è un dottore in sala?

C’è da augurarsi che Medvedev e Borghezio avessero torto e che gli alieni non esistano. O che quantomeno, confusi tra gli italiani (anch’essi abbastanza confusi), non trovino il modo di leggere le pagine di politica interna sui nostri quotidiani.

E sì, perché ci sarebbero davvero tante cose da spiegare. Tutto nasce a inizio dicembre, quando il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, intervistato sulla possibilità di un ritorno in campo dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, risponde che no, non sarebbe il caso, perché non farebbe bene all’Italia qualsiasi cosa possa far pensare a un ritorno al passato. Apriti cielo. Silvio Berlusconi non accetta questo giudizio, fa quadrato coi suoi ed emana l’ordine: l’avventura politica di Mario Monti deve arrivare al capolinea. E così è. Il lavoro sporco lo fa il segretario di Berlusconi Angelino Alfano, che con un discorso alla Camera sfiducia ufficialmente il Prof. E così, di punto in bianco e dopo aver votato la fiducia ai provvedimenti del governo tecnico per ben cinquantaquattro (!) volte, il PDL stacca la spina come più volte aveva minacciato di fare. Senza considerare, peraltro, il contropiede del Prof che a colloquio con Napolitano al Quirinale formalizza la sua decisione irrevocabile dopo l’approvazione della legge di stabilità.

Tutto chiaro? Nient’affatto. Perché dopo pochissimi giorni Berlusconi “offre” la leadership dei “moderati” alla stessa persona a cui aveva tolto la fiducia, dicendosi pronto a farsi da parte nel caso in cui questi dovesse accettare la gentile proposta. Ma Monti ovviamente non ci sta.
E ora come spieghi quest’andamento zigzagante e contraddittorio ai tuoi elettori (ma anche al tuo medico curante, magari)? Con il solito copione, quello del dottor Jekyll e Mister Hyde. Dietro il travestimento del leader illuminato, del fine statista, del “padre nobile” del movimento, si nasconde un animo populista e antieuropeista. Ed ecco allora che il governo Monti diventa il governo che ha introdotto “solo tasse e nessuna riforma”, che “lo spread è un imbroglio della Germania” (e da Berlino arrivano i primi schiaffoni mediatici), che “contro il mio governo c’è stata una congiura”, fino ad arrivare a parlare, in caso di vittoria alle politiche di febbraio, di una commissione di inchiesta parlamentare sulla caduta del suo governo e sulla nascita del governo Monti, con indagini anche sull’operato delle massime istituzioni del paese – leggasi Napolitano (inchiesta su Napolitano subito negata).

Oltre alla questione della discesa in campo (essendo di un rango superiore, lui scende; Monti, invece, che è di un rango inferiore, sale in politica), per riconquistare l’elettore disorientato è importante anche segnare il passo con la vecchia politica, le solite facce e i parlamentari di professione. Ecco dunque una promessa: verranno “confermati solo cento dei parlamentari uscenti, tutti gli altri verranno dal mondo del lavoro e dall’esperienza degli amministratori locali”. C’è però una grana: quella degli “impresentabili”. E il nome più in voga non è un nome qualsiasi, ma quello di Marcello Dell’Utri. C’è da prendere posizione, e B. lo fa senza indugi: “Mi dispiace ma non possiamo candidare Dell’Utri”. Facilissimo. E invece no, perché lo stesso Dell’Utri afferma di doversi necessariamente ricandidare, essendo lui “perseguitato”. La soluzione arriva grazie a Gianfranco Miccichè e alla lista “Grande Sud”: Dell’Utri candidato col PDL ma non nel PDL. Nella stessa lista, Dell’Utri e “La Puglia prima di tutto” – la lista che candidò Patrizia D’Addario. Quanto di più simile a un cassonetto dell’indifferenziato, vista la provenienza assolutamente eterogenea di chi vi converge (e il giudizio si ferma qui).

Ma B. non è l’unico leader di partito “megafono” a finire sui giornali un giorno sì e l’altro pure. C’è anche Beppe Grillo. Un altro che, va detto, talvolta può risultare difficile da seguire. E sì, perché parla di democrazia, ma non esita a cacciare dal Movimento 5 Stelle i “dissidenti”, prima Federica Salsi e Giovanni Favia, poi Raffaella Pirini e tutta la lista di Forlì. E perchè, pur teorizzando la trasparenza a tutti i livelli, delle sue “parlamentarie” ha diffuso solo un dato, quello dell’affluenza (dato medio-alto se rapportato agli aventi diritto, ma decisamente basso se rapportato al numero totale dei simpatizzanti del Movimento), mentre il numero delle preferenze per ogni candidato ancora manca (e difficilmente a questo punto verrà reso noto. Alla faccia della trasparenza).

In questo elogio del lettino psichiatrico, con giravolte politiche che neanche nella capoeira, chi ha cercato di mantenersi più lineare possibile è stato il Partito Democratico, che, sbavature e questione-regole a parte, a sua volta ha indetto le primarie per i parlamentari (primarie che non sono state copiate dalle “parlamentarie” grilline, dal momento che c’era chi le chiedeva da tanto).
Le primarie si sono tenute in una data che più scomoda non si poteva – il 30 dicembre, con molta gente fuori sede che non ha potuto partecipare, e dopo solo una settimana di campagna elettorale da parte dei candidati: anche per questo il dato dell’affluenza (un milione di persone che per votare son dovute uscire di casa e a volte fare la fila, e non collegarsi a un sito) è davvero significativo. Ci sono stati risultati attesi e bellissime sorprese (anche se a me dispiace molto per Enrico), che porteranno in Parlamento gente capace e con una visione chiara della politica vera, quella con la P maiuscola.

E tutto ciò, alla faccia delle “buffonarie”.

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