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Cosa avrei detto a Bologna

Caro Pippo,
mi sarebbe piaciuto molto essere domani a Bologna, ma sarò impegnato ai seggi perché, come sai, a Bari ci sono le primarie del centrosinistra per decidere il candidato sindaco di coalizione, e dunque ti scrivo qui quello che ti avrei detto davanti a un caffè, che lo sai che parlare in pubblico mi riesce proprio difficile.

Sono stato molto combattuto, nei giorni scorsi, e lo sono ancora. Da elettore prima e iscritto poi, non ho ancora capito perché Renzi abbia di fatto sfiduciato Letta, dopo che fino a venti giorni fa nulla lasciasse presagire questo epilogo, a parte qualche “scossa di assestamento”. E aspetto che qualcuno me lo spieghi.

Siccome su alcuni punti ho una posizione più precisa mentre su altri sono ancora confuso, ti butto giù qualche riflessione, così come mi vengono, chissà, magari scrivendotele me le chiarisco io per primo:

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a) Non ti invidio

Si può non invidiare un deputato? Secondo me sì. Sì, perché al di là della retorica anti-kasta e di quella anti-anti-kasta, sono gli uomini che fanno la storia. E la fanno con le loro azioni: non con i privilegi, non con le poltrone, non con la scorta che ti accompagna all’Ikea, non con le monetine del Raphael. E queste azioni, se compiute in solitudine (o quasi), assumono un contorno e un’eco diversi.

Come dice il terzo principio della dinamica, “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Solo che questo non vale solo per la fisica, come quando spari col fucile (azione) e subisci il rinculo (reazione). Vale sempre. Pure in politica. Come, ad esempio, il non votare la fiducia al governo Renzi (azione) e l’uscire dal PD o l’essere cacciati (reazione). A livello personale, la tua scelta definitiva sarà quasi drammatica, qualunque questa sia. “Voto no ed esco?”. “Voto no e rimango?”. “Voto sì per disciplina di partito, ma mi prendo i vaffanculo e le ironie, mi sento dire che sono sceso a patti con Renzi e lancio su twitter un secondo #insultacivati?”. Non vorrei essere nei tuoi panni.

Nell’ultimo anno, per ragioni personali, più volte mi è capitato di dover riflettere sul dolore (e qui mi dirai “Leggiti Julian Barnes, che l’ho scritto cento volte”). Anche in termini meno comuni, quasi algebrici. In occasione di un bruttissimo momento che ha coinvolto me e molti amici, mi son chiesto se un dolore ripartito tra più persone fosse più una moltiplicazione o una divisione del dolore di ognuno. Ad oggi ancora non so rispondermi. Secondo me non c’è paragone tra il dolore dovuto alla perdita di qualcuno e il dolore che può esserci dietro il compiere una scelta, ma il concetto alla base è lo stesso. E se da una parte devo ancora capire se un dolore condiviso sia più forte o più “diluito”, d’altra parte un dolore, qualsiasi dolore, in forma privata, è centomila volte più grande. Dunque mi immedesimo in te, con molto rispetto.

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b) questione-fiducia

Se fossimo a X Factor ti direi “Per me è no”, qualunque cosa succeda. E questo, a riprova che non era una questione personale nei confronti di Enrico Letta, ma che era lo schema riproposto delle larghe intese ad essere particolarmente indigesto (fino a febbraio il refrain della campagna elettorale della coalizione “Italia bene comune” era “Mai con Berlusconi!”, salvo poi una clamorosa inversione a U, senza consultazione degli iscritti e con risvolti tragicomici), oltre che infruttuoso (come diavolo fai a parlare di ambiente, di fisco più equo, di diritti, di legalità con gente che proponeva condoni edilizi e fiscali, che disse che Eluana Englaro fu ammazzata e che occupò le scale del tribunale di Milano?).

E quello che è successo tra aprile e maggio, in piena emergenza, e che poteva/doveva essere un governo di scopo (ma non lo fu), con due cose urgentissime da fare e poi di nuovo alle urne, si è trasformato in un governo politicissimo con obiettivo fine legislatura. Non fa niente che la maggioranza sia la stessa del “potrebbe cadere il governo” a giorni alterni (è vero, Forza Italia è uscita, ma a Renzi ha dato “assoluta disponibilità”): l’obiettivo è star lì quattro anni.

E tanto per esser chiari, qui nessuno vuole tirare i piedi a Matteo Renzi: solo, ci si lascia andare a previsioni neanche così difficili da fare. È come se andassi allo stadio per vedere Bari-Real Madrid: non è che tifo contro la mia squadra, è che penso prenderà un sacco di mazzate.

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c) “Esco o non esco?”

Sono iscritto a questo partito da maggio. Poco prima, in rapida sequenza, le elezioni non vinte, i primi tentennamenti, la proposta-Marini (giustamente, e apertamente) cassata, la proposta-Rodotà (follemente) trascurata, l’assassinio politico di Prodi, i 101 incappucciati che ancora si vergognano di fare coming out (o di costituirsi), il Capranica, le dimissioni della segreteria Bersani, il Napolitano bis, Letta che da numero due del PD diventa numero uno del governo, le larghe intese, Occupy PD. Il 20 aprile 2013, quando venne definitivamente affossato Rodotà e nacque il Napolitano-bis, ero con Rodotà, perché quel giorno era a Bari, al Petruzzelli.

Mi sono iscritto al PD per la rabbia e la vergogna che il partito che fino ad allora votavo mi aveva fatto provare. Io mi vergognavo per loro, loro non penso si vergognassero di nulla – in questo, Anna Finocchiaro che “non so che cosa vogliono questi signori” – è emblematica.

Mi sono tesserato (anche, ma non solo) per “colpa” tua e della famosa “tessera nonostante”, perché c’erano cose da cambiare, temi da affrontare, congressi da vincere. E anche perché ho sempre sostenuto che una battaglia fatta da fuori sarà senz’altro importante e sicuramente “romantica”, ma prosaicamente non ti cambia l’esito della guerra perché da fuori molto difficilmente puoi influire, puoi contare qualcosa.

Non sono mai stato un elettore (prima) e un iscritto (dopo) “ortodosso”, col partito da difendere a tutti i costi. Quando il partito ha sbagliato l’ho sempre sottolineato, perché trovo molto immaturo difendere per partito preso – è il caso di dire – qualcuno che sbaglia ripetutamente. Inizialmente non vedevo altre alternative allo starci dentro, come unico modo per cercare di indirizzare il timone della barca. Oggi, dopo un congresso andato com’è andato (ma partendo da zero) e una minoranza che è tale solo sui giornali, visto che in direzione vota con la maggioranza del partito per una poltrona in più, ho certezze meno granitiche. Però.

Però non posso non tornare alla mitica “tessera nonostante” di cui sopra, e adesso ti dico perché. Secondo me, la politica fatta per il gusto di farla e per amore di una comunità è generosità allo stato puro. Dall’alzare e abbassare la saracinesca del circolo al creare occasioni di ascolto nel quartiere al rinunciare a stare con la tua famiglia perché hai l’assemblea cittadina.

Non mi sento un militante, mi sento più un iscritto, e proprio per questo guardo con molto rispetto chi dona il suo tempo agli altri. Però il tuo appello di maggio è stato un appello alla generosità. Come quando succede qualche disastro e si conta sulla generosità e sul senso di appartenenza a una comunità della gente piuttosto che su una risposta “centrale”. Penso agli alluvioni in Italia, con la gente che si prodiga dalle altre regioni, nonostante il manicheismo geografico “Nord vs Sud” creato da una classe politica di terz’ordine e non soppiantato, proprio in termini di operazioni culturali, da un’altra classe politica che non si è dimostrata così tanto migliore. Ma penso anche a Telethon, a cui ogni anno gli italiani versano soldini perché “lo stato taglia i fondi alla ricerca e io ho quel mio parente che sta male, dunque dieci euro glieli do io, a Telethon”. Beh, quella tua chiamata alle armi è stata la stessa cosa. Un appello a quegli “angeli del fango” della politica che venissero a togliere detriti, macerie e incrostazioni da un partito alla deriva e preda di guerre intestine e vendette trasversali.

Penso al tuo appello e guardo il mio circolo. Come me, si sono iscritti Gianluca e Gianni, uno verso aprile, l’altro a ottobre. A febbraio avevano votato SEL. Un altro amico di un altro circolo, Roberto, si è tesserato con me, a maggio, ma a febbraio aveva votato Ingroia. È tutta gente che riconosceva nel PD l’architrave di una coalizione di centrosinistra (quando ancora c’era, quella coalizione), ma che piuttosto che iscriversi si sarebbe fatta togliere un dente senza anestesia. Eppure si sono iscritti, per cercare di cambiare questo benedetto partito da dentro. Se dovessi prendere per buono l’esito del congresso, dovrei dire che non ci siamo riusciti. Ma abbiamo gettato un seme.
È per rispetto verso questa gente che, secondo me, non dovresti uscire (almeno, di tua spontanea volontà). E bada bene: non te lo dico più perché io sia così convinto della maggiore incisività di un’azione dall’interno (ci vedo molto poco margine di manovra, ormai). Ma solo perché dovresti ricambiare il gesto. Non puoi far avvicinare a un partito chi quel partito lo andava scansando come la peste, e poi uscirne tu. E molti di questi neoiscritti adesso non sono solo semplici tesserati, ma sono membri di organi direttivi. Che facciamo, dissodiamo il terreno e iniziamo a seminare, ma ce ne fottiamo di innaffiare le piantine? Avremmo buttato tempo.

Ancora più prosaicamente: converrebbe, un’uscita? Per far cosa? Per diventare, come diceva qualcuno, se va bene, Vendola, se va male, Ingroia? Chi raccoglieremmo, con un nuovo soggetto politico al di fuori del PD? quattro grillini e qualche SELlino? Forse. Ma temo perderemmo molti attuali iscritti al PD.
Ti ripeto: non sono più così convinto della maggiore incisività dall’interno e della capacità del PD di autorinnovarsi. Ma temo che lo scenario fuori potrebbe essere ancora peggio. Altro che “agibilità politica”: roba da lotta per la sopravvivenza. Pensaci. Ma son sicuro che lo avrai già fatto.

PS. Matteo Renzi deve avere molta poca dimestichezza coi vettori. “Cambiare verso”, da solo, vuol dire poco, se non cambi anche la direzione. Vuol dire che invece di andare da Bari a Bologna vai da Bologna a Bari, ma, appunto, percorrendo la stessa strada. È la direzione che doveva cambiare. Si vede che era troppo occupato a pensare all’unica direzione che conosce, quella nazionale del partito, quella che con un esito bulgaro ha legittimato un altro attentato politico tra democratici, il secondo in meno di un anno, senza peraltro spiegare agli elettori le vere ragioni politiche del gesto. Sempre che ce ne fossero.

Ti abbraccio

Valerio

Solo corse in salita

Altro che ultima curva.

In un percorso non semplicissimo, ma reso molto più insidioso dallo scarsissimo affiatamento tra i corridori della stessa squadra, prima tutta una serie di cadute, una più grave dell’altra, da cui il gruppone è uscito frammentato e con tanti lividi, quindi il suicidio negli ultimi metri per una strategia di squadra totalmente sbagliata, che ne mette addirittura in discussione la partecipazione a nuove corse future.

Per noi solo corse in salita.

L’ultima curva

Caro segretario Bersani,
vieni da una terra fatta di autodromi e motori. Dal regno della velocità. A pochi chilometri da casa tua nascono le Ferrari e le Ducati. Sempre vicino casa tua morì Ayrton Senna. Ma siccome mi rendo conto che questa velocità non ha nulla a che fare con i ritmi della politica italiana, forse è meglio rallentare, slacciarci le cinture di sicurezza e cambiare mezzo.

Non importa se in volata o (più probabilmente) col gruppo compatto, ma siamo arrivati all’ultima curva. L’ultima curva del settennato di Giorgio Napolitano, e l’ultima curva del percorso a ostacoli a cui ci ha costretti il pastrocchio delle urne.
Entente cordiale col proprietario del PDL sul nome del prossimo inquilino del Quirinale no, grazie. Anche perchè di cordiale non avrebbe davvero nulla.

Sarebbe insopportabile, per una base sempre più inascoltata e, quando va bene, sfiduciata, strategicamente incomprensibile (un governo può durare anche solo pochi mesi, un Presidente della Repubblica dura sette anni: siamo proprio sicuri che i due piatti della bilancia pesino allo stesso modo?) e totalmente in controtendenza rispetto al metodo usato per scegliere i presidenti di Camera e Senato.

L’idea che traspare leggendo i giornali e ascoltandovi in tv è che neanche nel PD sappiate cosa volete.
Volete rivotare? E quali sostanziali differenze prevedete rispetto all’esito del 25 febbraio, a cinquanta giorni dalle elezioni e con la stessa legge elettorale?
Volete il governissimo? E a quel punto non aveva senso continuare ancora l’esperienza di Monti (sì, tranquillo, mi ricordo chi fu a sfiduciarlo)? Peraltro, il governissimo sarebbe davvero un elisir di lunga vita a Berlusconi, che avrebbe l’opportunità di avere voce in capitolo pur potendo scaricare colpe sulle altre forze al governo per ogni eventuale misura difficile da digerire per la sua base.
Volete davvero venire a patti (perchè di questo si tratta) con il peggiore esempio di destra populista europea e scegliere con loro il nome della più alta carica dello Stato? E non torniamo a ripetere come un mantra il concetto di “nome condiviso” (ricordati con chi lo dovresti condividere), ti prego. Innanzitutto perchè anche un brutto nome può essere condiviso. In secondo luogo, perchè lo ricordava Beppe Severgnini a Ballarò: è importante che si tratti di un nome condiviso “durante” e “dopo”, non “prima”. Mica sette anni fa Giorgio Napolitano era così condiviso. Anzi. Però lo è diventato.
E soprattutto, questo nome condiviso com Berlusconi, quali sembianze assumerebbe? D’Alema? Violante? Amato? Non scherziamo.

Nè tantomeno posso credere che questo stallo sia dovuto alla tua caparbietà nel voler ricevere l’incarico di premier a tutti i costi, che di riflesso inserisce fra i requisiti del prossimo “quirinabile” la possibilità che quest’ultimo ti dia nuovamente il mandato.
Non lo posso credere perchè sei la persona che, pur essendo il candidato in pectore del PD alla Presidenza del Consiglio come da statuto, ha deciso di rimettere in discussione tutto ciò con le primarie di dicembre, e perchè hai chiesto a Dario Franceschini e Anna Finocchiaro un doloroso passo indietro quando si parlava di loro come possibili presidenti di Camera e Senato, e dunque non riesco a credere che non chiederesti un passo indietro anche a te stesso.
Spero non vorrai smentirmi.

Ora, il sottoscritto non ha nessuna simpatia per il M5S, ma dobbiamo ammettere che, al netto dei limiti tecnici e delle opacità del metodo, il M5S è stata la prima forza a chiedere un parere ai suoi sul nome del futuro Presidente della Repubblica (lo ricorda bene Alessandro Gilioli qui) e, prima ancora, ha fatto sì che si alzasse l’asticella contribuendo a eleggere Laura Boldrini e Pietro Grasso.
Più dei nomi fatti dai simpatizzanti grillini (ho grande stima di quasi tutti i presenti nella loro top ten, ma tra la stima e vederceli Presidente della Repubblica, beh, ce ne passa) conta il messaggio. Aria nuova, fresca, ma allo stesso tempo di altissimo profilo. Qualche nome di livello assoluto ce l’hai (due su tutti, per quanto mi riguarda: un giurista di altissimo livello e un ex Presidente della Commissione Europea) e, cosa bella, questi stessi nomi sono anche nella top ten a Cinque Stelle.

Non stiamo lì a cincischiare, segretario: c’è un messaggio da cogliere (e da rispedire, firmato, a Genova) e un governo da formare ma, prima ancora, un Presidente da eleggere.
Vediamo di non cadere all’ultima curva, che certe cadute sono più dolorose di altre. E vediamo di smentire chi dice che “sono tutti uguali”. E anzi, se pensi ti serva una mano nel gruppone, ricordati che puoi sempre pedalare con un amico.

Da te dipende.

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